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Maria Montessori, Sui principi della scuola Montessori.
La “Scuola comprensiva alternativa” di Maria Montessori

Tratto da: Maria Montessori, The child, society and the world: unpublished speeches and writings, Clio 1989; Herder 1979 (edizione originale tedesca). Note originali di Günter Schulz-Benesch. Traduzione dall'originale inglese all'italiano di Sandra Starvaggi

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Maria Montessori, Sui principi della scuola Montessori.
La “Scuola comprensiva alternativa” di Maria Montessori


 

IV/1. LEZIONE DEL CORSO, INDIA 1942, Adyar, Madras.

 

Lezione per il corso di formazione.

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Sapete già cosa intendiamo per "lettura intuitiva". Significa che il bambino, avendo davanti a lui alcuni oggetti, legge le parole associate a questi oggetti anche se sono difficili (come succede nelle lingue non-fonetiche). Il bambino leggerà anche le parole scritte in maiuscolo. Questa capacità non è dovuta ad alcun potere magico del bambino, anzi, si basa invece sull’utilizzo del nostro alfabeto mobile. Quest’ultimo ha risolto i principali problemi del dettato. Lo ripeto: non è un potere miracoloso ma è dovuto all’interesse suscitato nel bambino. È l’interesse dell'individuo che ha capito che c'è qualcosa, un pensiero, legato a quei segni e che desidera penetrarlo: questo interesse è la spinta fondamentale. Esso è, per importanza, allo stesso livello del materiale; se si dovessero pesare su due piatti di una bilancia l'alfabeto e l'interesse, la bilancia sarebbe in perfetto equilibrio.

 

È questo l'interesse che l'insegnante (1) deve essere in grado di suscitare nel bambino, e sapere poi come educarlo. In ciò consiste la parte psicologica del nostro studio. Se il bambino non possedesse l'intelligenza, né questa energia vitale dell'interesse, allora non saremmo certamente in grado di fare nulla con lui. Ma ripeto che esiste questo interesse naturale dentro di lui e proprio per questo noi abbiamo nelle nostre mani due poteri: l'interesse e il materiale didattico. Questo interesse, essendo un sentimento individuale, varierà da bambino a bambino e non sarà allo stesso livello di maturità in tutti. Ora, questo fatto potrebbe sembrare una delle tante difficoltà dell'insegnante che si chiederà: come potrei sapere qual è l’interesse di questo individuo, qual è il materiale adatto al suo livello di sviluppo oppure quando sarà il momento giusto per presentargli qualcosa di nuovo? Potete ben capire che se la questione spetta all'insegnante e alla sua comprensione (come tanti credono), l'insegnante si ritroverebbe in un labirinto inestricabile. Poiché come potrebbe far fronte a così tanti individui allo stesso tempo?

 

Tanti metodi moderni deducono che l'insegnante non dovrebbe avere più di sei o sette alunni alla volta se deve dare attenzione a ciascuno di loro individualmente. Questa modalità, come metodo educativo, è conosciuta come “metodo individualizzato” (2), in quanto raccomanda di avere solo pochi alunni per ogni classe. Tantissime persone confondono il nostro metodo con questo metodo. A dire il vero, questo “metodo individualizzato” è nato dopo il nostro metodo come fosse un miglioramento del nostro e qualcosa di più scientifico. Tuttavia noi non siamo della stessa idea poiché non è il nostro principio base quello di dare un’educazione individualizzata fine a se stessa. Nel nostro ambiente è inclusa l'educazione individualizzata, ma non è dovuta all'insegnante; la nostra educazione individualizzata si basa sulla libera scelta del bambino.

 

Ricordatevi bene questo potere della libera scelta. Fu riconosciuto anche da Decroly (3), negli ultimi anni della sua vita, anche se lui non era d’accordo dall’inizio. Lui diceva che l'interesse può essere suscitato nel bambino solo se ha la possibilità della libera scelta. Come sapete, il metodo Decroly si basa sui “centri d’interesse”: è una questione sulla quale si è discusso a lungo e su cui si è scritto molto e i due metodi, il suo e il mio, sono stati spesso paragonati l'uno all'altro. Vedete, Decroly affida i centri d'interesse all'insegnante perché è l'insegnante che cerca non solo di attirare l'interesse di tutta la classe ma anche di mantenerlo per tutto l'anno. Allora questo metodo di Decroly consiste nel dare istruzioni agli altri, e si basa quindi sul vecchio modello d'insegnamento, in cui l'insegnante sceglie da solo quello che sarà il centro d'interesse e organizza l’istruzione in base ad esso.

 

Questa “educazione individualizzata” è un metodo, il metodo Decroly è completamente diverso da esso e il nostro metodo è assolutamente diverso da entrambi. Tuttavia vi sono alcune espressioni comuni a entrambi questi metodi: “individualità” e “interesse”. L' "educazione individualizzata” s'è sviluppata per lo più in America, e il metodo dei “centri d’interesse” di Decroly s'è sviluppato in Belgio e Svizzera. C'è ancora un terzo metodo che è apparso in Inghilterra dopo il nostro. Anch'esso è derivato dal mio lavoro da parte di un mio ex-alunno (4) e viene chiamato il metodo del “lavoro individualizzato”. Anche qui c’è il materiale e libera scelta, ma questa libera scelta non si limita solo al materiale offerto dalla scuola; viene concessa libertà totale ai bambini, che potrebbero addirittura portare a scuola qualsiasi tipo di materiale da casa. Questo metodo si basa sull’idea che sia sufficiente che il bambino si tenga occupato con qualsiasi tipo di materiale, non importa quale. Questo metodo s'è diffuso notevolmente in Inghilterra; il divulgatore di questo metodo ebbe anche l’idea di consentire ai bambini di lavorare a terra (5) invece di confinare il lavoro dei bambini al tavolo; e in questo tipo di scuole potremmo vedere i pavimenti disseminati con materiali di ogni tipo. Potete capire che in questo modo il bambino è certamente sempre occupato ma senza ottenere uno sviluppo culturale, né sussistono collegamenti tra le diverse attività che svolge. Perciò queste scuole rimarranno sempre a un livello pre-elementare; poiché queste sono attività simili a quelle della scuola d’infanzia. Vi illustro tutti questi casi per offrirvi una specie di confronto tra questi metodi.

 

Il problema del “lavoro individualizzato” è che il bambino non trova nessuna continuità nel materiale con cui lavora e così passa da una cosa all’altra senza che si stabilisca un nesso tra i suoi studi. Mentre noi abbiamo visto nel nostro metodo che la possibilità di acquisire cultura risale ad un bambino sempre più piccolo, e questa cultura si sviluppa su un lavoro individuale sistematico che ha come sua base l’interesse individuale.

 

Conoscete anche il metodo Froebel, che è il più perfetto tra tutti i metodi collettivi, quei metodi in cui l'insegnante guida tutta la classe in un lavoro collettivo. Anche nel metodo Froebel è presente il materiale ma l'insegnante lo presenta a tutta la classe dalla sua cattedra mentre ogni bambino ha lo stesso materiale dell’insegnante, questo vuol dire che ci devono essere tante copie di materiale quanti bambini ci sono in classe. L'insegnante mostra il materiale e come si usa, i bambini guardano e ognuno copia quello che vede fare dall’insegnante. Questo materiale segue certamente dei criteri di qualità, forma, misura e colore ed è sicuramente interessante. Tra i diversi soggetti da studiare nel metodo Froebel rientrano i lavori manuali, il canto e la recitazione di poesie semplici. Tante di queste cose, come ad esempio il lavoro manuale, i cubi e i prismi, che costituiscono una parte essenziale del metodo Froebel, venivano usate anche nella nostra prima scuola. E vi dirò di più: dato che il nostro metodo non esisteva ancora, usavamo moltissimi di questi giocattoli. Lo stesso materiale delle nostre scuole di oggi è basato sulla selezione volontaria operata dai bambini a partire da quella moltitudine di oggetti che mettemmo a loro disposizione. Quella selezione ci ha portato a comprendere che per lo sviluppo culturale del bambino sia sufficiente un determinato numero di oggetti e non di più. Quest’espressione che usiamo, il “sufficiente”, “solo ciò che è necessario” sta a significare una certa gamma di materiale che è una selezione a cui siamo giunti grazie alla scelta dei bambini.

 

Il dato di fatto fondamentale nella preparazione dell’ambiente è che bisogna avere una sola copia di ogni tipo di materiale. In tante scuole, gli insegnanti che venivano dai nostri corsi pensavano che sarebbe stato meglio e di portata superiore avere a scuola due copie complete del materiale e a volte averne, di certe parti, addirittura tre o quattro. Ma risultò presto evidente che la disciplina della scuola ne risentiva gravemente, mentre, se qualcuno diminuiva il numero di copie del materiale, la disciplina si ristabiliva.

 

Questo paragone fra i diversi metodi è uno studio a parte che non possiamo inserire nel nostro corso e che io personalmente non mi sono mai permessa di fare. Il nostro metodo non è un metodo pianificato ma un'esperienza realmente accaduta che ha affermato la sua validità e che è stato donata a diversi paesi e diverse culture, seguendo una linea dritta, senza oscillare a destra o sinistra, e che segue fiduciosamente il sentiero del bambino e gli elementi che il bambino stesso ci ha fornito. La nostra scuola si basa completamente su ciò che manifesta il bambino ed è questo che ci ha dato indicazioni chiare su come organizzare e strutturare la nostra scuola, ad esempio per quanto riguarda il numero di bambini che ci dovrebbe essere in una classe affinché si possano raggiungere risultati proficui. Noi riteniamo che nelle migliori condizioni la classe dovrebbe avere tra i trenta e i quaranta bambini, ma ce ne potrebbero essere anche di più. Questo dipende dalla capacità dell’insegnante. Quando ce ne sono meno di venticinque il livello standard si abbassa e in una classe di otto bambini è difficile ottenere buoni risultati. Si raggiungono risultati veramente proficui quando il numero cresce; venticinque è la quantità sufficiente e quaranta è stata ritenuta la migliore quantità.

 

Uno degli elementi che rende le nostre scuole diverse dalle altre è il seguente. La maggior parte delle scuole, forse dovrei dire tutte, hanno bambini della stessa età in ogni classe. Il loro curriculum è addirittura basato sull'età. La nostra esperienza ci ha distinto da questa regola generale perché nella nostra scuola ciò che cerchiamo è proprio questa diversità tra le età. E se dovessimo mettere un limite a questo divario, diremmo allora che ci deve essere una differenza di almeno tre anni. Immaginate di avere novanta bambini a vostra disposizione, tutti ben classificati: trenta bambini di 4 anni, trenta di 5 anni, e trenta di 6 anni. Tutti metterebbero i bambini di 4 anni, i bambini di 5 anni e i bambini di 6 anni in tre classi diverse. Ma noi sosteniamo fortemente che dovremmo mischiare le età e, se l’aula dovesse contenere 30 bambini, noi non dovremmo mettere i bambini della stessa età tutti insieme ma mischiare bambini dai 3 ai 6 anni d'età. Questo mix genera una differenza tale che, se dovessimo inserire i bambini della stessa età tutti insieme nella stessa classe, non otterremmo alcun margine di successo e sarebbe impossibile applicare il nostro metodo. Noi non concepiamo la nostra classe come una classe di bambini della stessa età tutti insieme. La logica sta nella natura: una famiglia che comprende tre bambini, nati a distanza l'uno dall'altro, genera una differenza d'età in modo naturale. 

 

Ovunque il nostro metodo sia stato sviluppato, c'è sempre stato un nesso fra l'educazione dell'infanzia e l’educazione elementare. Uno dei segreti è quello delle porte aperte. Nelle nostre scuole proprio non esiste una porta chiusa che si erga come un poliziotto che blocca il passaggio. La porta aperta alle altre aule offre una libertà di circolazione fra le varie classi e questa circolazione è di massima importanza per lo sviluppo della cultura.

 

Uno dei grandi vantaggi del nostro metodo è questa convivenza tra le tre età ed è uno dei modi migliori per lo sviluppo individuale. Questa organizzazione creerebbe un disordine terribile in una scuola normale e sarebbe impossibile da seguire per il normale svolgimento del programma. Come ci potrebbe essere un qualsiasi tipo di ordine? È evidente che nel nostro modello non è l’insegnante che mantiene l’ordine ma vi è invece un'organizzazione psicologica dei bambini che li porta ad ottenere i nostri risultati. Potete capire quanto sarebbe impossibile gestire la situazione seguendo metodi normali se le porte fossero aperte: ci sarebbero quattro o cinque insegnanti che urlano a squarciagola ai bambini, per questi ultimi sarebbe sconcertante e impossibile ascoltare quello che il loro insegnante sta cercando di dire. L’importanza di tenere la porta chiusa nelle scuole normali è un dato di fatto poiché, se venisse data questa libertà ai bambini, quelli annoiati scomparirebbero, finirebbero o per la strada o vagherebbero in giardino e l’insegnante potrebbe addirittura trovarsi da solo. Se si osserva la scuola organizzata in base al vecchio modello, con le porte chiuse, e la si paragona con l’organizzazione delle nostre scuole basate sulle porte aperte, allora la differenza sembra quasi inconcepibile. Richiede un atteggiamento e un'organizzazione completamente diverse. Ci si potrebbe chiedere: come fanno i bambini di un gruppo ad avere libertà di comunicare con quelli di un altro? Tramite le porte aperte. Nella scuola in Olanda le porte e i muri sono fatti di vetro e i bambini di un gruppo possono entrare nella quotidianità delle altre classi. Le porte esercitano un fascino non indifferente. Mi ricordo di un bambino che voleva prendere in prestito le aste numeriche da un’altra aula e, non riuscendo a trasportarne più di una alla volta, entrava e usciva parecchie volte, ogni volta aprendo e chiudendo la porta con cura senza fare rumore. I bambini di quella classe che stavano lavorando, non essendo consapevoli della persona che andava avanti e indietro, non gli prestavano attenzione. 

 

Uno degli insperati vantaggi dell’architettura moderna, che è stato ampiamente applicato nelle nostre scuole, è stata la separazione delle aule operata grazie a muretti bassi (6), all'altezza della testa dei bambini. Sono abbastanza bassi da consentire agli insegnanti la supervisione di tutte le aule. A volte invece, per aggiungere un po' di colore, vengono messe tende invece di porte. Queste pareti servono anche da ripiano per vasi di fiori e piante, e sono estremamente utili per vari scopi e decorazioni. A Roma avevamo una scuola a forma di semicerchio. Era un palazzo molto spazioso che accoglieva centocinquanta bambini dai 3 ai 6 anni. Il pavimento di questo anfiteatro era diviso in diversi appartamenti tramite questi muretti bassi e non c’era nessuna porta. Visto che l’aula era molto alta abbiamo costruito un balcone tutto attorno. Si poteva accedere a questo balcone senza bisogno di passare tra i bambini. Era usato per gli studenti del corso e per I visitatori. In tante delle nostre scuole a Roma e Vienna, dove avevamo corsi, furono disposti balconi simili ad uso degli studenti e dei visitatori, così da non disturbare I bambini mentre li si guardava lavorare. L’unica raccomandazione che avevamo fatto era che le persone dovessero stare in silenzio. Era un spettacolo bellissimo vedere centocinquanta bambini al lavoro e tra ognuno di questi gruppi un lungo tratto di piante, fiori e acquari con pesci rossi. Si sarebbero poi intraviste cinque signore eleganti, a volte con un’assistente, che circolavano silenziosamente trai bambini impegnati; qualche volta un bambino poneva loro una domanda, altrimenti rimanevano in piedi a osservare.

 

Qual era la conseguenza di questa libertà, dove I bambini potevano non solo scegliere ma anche circolare liberamente? Questo esperimento è stato ripetuto in tante scuole e abbiamo scoperto che ogni bambino, volontariamente, si legava ad un unico luogo e non si spostava facilmente da lì. Questa tendenza ci ha dato molti spunti di riflessione in quanto, anche nella libertà più estrema, è nella natura dell'essere umano trovare un posto in cui possa rimanere fisso. Questo esempio è rivelatore della psicologia umana ed è tramite queste tendenze che il bambino ce la mostra. Infatti, nel mondo odierno, in cui la comunicazione è diventata così libera e senza limiti e i modi di viaggiare si velocizzano sempre più, ogni individuo dirà ancora: voglio un piccolo posto che io possa chiamare mio. Ogni uomo sentirà questo bisogno di un punto fisso, un posto che sia casa sua.

 

È per questo motivo che abbiamo messo nelle nostre scuole piccoli armadi a cassetti. Ogni bambino ha il proprio cassettino in cui può tenere i suoi effetti e dove troverà gli oggetti in suo possesso. Il cassetto personale lo lega ad un determinato posto. È una cosa davvero curiosa, questo amore costante per l’ordine. I bambini vogliono le stesse cose nello stesso posto, potrebbero spostare i mobili e lavorare nel giardino, ma rimetteranno poi esattamente tutto al suo posto. Una volta, ho visto due bambini spostare un tavolo e continuare ad aggiustarlo per un po' di tempo, mi meravigliai della loro azione così chiesi loro che cosa stavano facendo. Loro mi risposero che in origine il tavolo si trovava sotto la lampada e che ora stavano cercando di rimetterlo nella sua posizione esatta. È sorprendente come questa libertà di circolazione sviluppi nell'individuo la sete per un posto fisso. Il bambino che esce dall’aula non scappa via per la strada ma circola invece tra gli altri gruppi. Questo contatto con le altre classi gli dà l’impressione che di là accadano cose interessanti. Quest’ultima possibilità è stata di grande importanza nella qualità del lavoro e nel successo delle nostre scuole. In Olanda è diventato un esperimento interessante, abbiamo osservato i bambini piccoli andare tra quelli più grandi ed interessarsi a cose che credevamo troppo lontane dalla loro capacità di comprensione. È stato allora che ci siamo resi conto che il bambino piccolo è capace di imparare molto di più di quello che avevamo immaginato. C’era un altro elemento d'estremo interesse. Abbiamo notato che i bambini grandi ogni tanto ritornavano nelle aule dei bambini più piccoli per cercare attività già svolte in precedenza e per riprendere i vecchi esercizi. Questo l’abbiamo visto in Olanda, dove la scuola aveva due piani. I bambini più grandi del piano di sopra scendevano giù al piano di sotto e lavoravano con le aste numeriche perché, evidentemente, nei loro esercizi avanzati mancava un po' di chiarezza. Questo è molto comune: quando i bambini si ritrovano in difficoltà nell'affrontare fasi più complicate, ritorneranno alle fasi precedenti. Ma questo non succede mai nei vecchi metodi di educazione poiché sarebbe considerata una vergogna ritornare indietro! Possiamo dire allora che nelle nostre scuole le caste sono abolite, non c’è solo libertà di circolazione trai gruppi ma anche libertà d'educazione tra i diversi livelli e gradi di cultura. Non è la classe a cui uno appartiene che è importante, sia essa la prima, la seconda, o la terza, ma il fatto che loro impareranno l’uno dall’altro così da maturare e crescere. È l’idea di "andare a studiare dove trovo cose che sono utili per me e che trovo interessanti".

 

La cosa principale è che I gruppi contengano età diverse, poiché ciò ha una forte influenza sullo sviluppo culturale del bambino. Questo sviluppo si ottiene dalle relazioni trai bambini. Non potete immaginare quanto un bambino piccolo possa imparare da un bambino grande; quanto sia paziente questo bambino grande nei confronti delle difficoltà del bambino piccolo. È come se il bambino più piccolo divenisse il materiale su cui il bambino più grande lavora. Spesso mi sono fermata a osservarli pensando: "non è forse una perdita di tempo per il bambino più grande?" Ma mi è poi apparso evidente che quando si insegna qualcosa la materia diventa più chiara anche a chi la insegna. Nulla insegna più dell’insegnare a qualcun altro, specialmente quando non si conosce molto bene il soggetto in questione. Questo accade perché le difficoltà dell'altro fungono da "controllo dell'errore" per noi stessi e ci spingono ad acquisire più conoscenza per dare all'altro quello che gli serve.

 

Nelle nostre scuole fu chiaramente distinguibile quale bambino fosse l’alunno speciale del bambino più grande che lo ha istruito. Questa opportunità nel lavoro della nostra scuola è così importante che lo sviluppo delle classi sarebbe di un livello molto più basso se non ci fosse questa collaborazione. Abbiamo quindi proseguito questa sperimentazione, portando ragazzi di 12 e 14 anni nelle classi dei bambini più piccoli e chiedendo loro di istruire quelli piccoli. È stato molto interessante vedere quanto più rapidamente imparavano in questo modo. Ci ha portato a ipotizzare l'esistenza di una gradazione dello sviluppo mentale, per la quale la differenza tra adulto e bambino è talmente grande da far sì che l’adulto non possa dare al bambino piccolo lo stesso aiuto che un bambino più vicino alla sua età può dargli. Questo è il motivo per cui si suol dire che bisogna essere come un bambino per capire un bambino. È quindi di grande aiuto per l’insegnante avere queste differenze d'età nella classe; e dovete capire che per ottenere risultati bisogna avere età diverse.

 

Queste sono le cose che dovreste ricordare: prima di tutto l’interesse del bambino, che porta il bambino a scegliere di studiare. In secondo luogo la cooperazione del bambino, che è immensamente aiutata dal fatto che i bambini non hanno la stessa età, e quindi i bambini più grandi sono interessati ai bambini più piccoli e viceversa i più piccoli ai più grandi; allora arriviamo alla conclusione che non solo i più grandi potranno aiutare i più piccoli ma che i primi trarranno anche vantaggi da questa collaborazione. Infine, gli istinti umani che portano l’uomo a legarsi ad un unico posto, il che genera ordine e disciplina. È curioso che il commento prevalente dei visitatori è che ciò che li ha più impressionati sia il silenzio che regna sovrano per tutta la scuola. Le attività che questi bambini svolgono con più passione sono anche quelle che vengono eseguite con un silenzio che non è stato loro imposto.

 

Questi tre elementi vi daranno un'idea dell’organizzazione fondamentale di una scuola che s'ispiri alle nostre linee pedagogiche.

 

[Nota 1. Tutti sappiamo che Maria Montessori, nei suoi testi, usa generalmente il termine "maestra" ma si è pensato, in questa sede, di neutralizzare il genere di tale espressione utilizzando il termine "insegnante", essendo il pubblico a cui i testi montessoriani si rivolgono oggi composto da insegnanti di entrambi i sessi. Vale inoltre la pena sottolineare che, in questo saggio, Maria Montessori non fa distinzioni tra "maestre" della scuola dell'infanzia e "maestre" della scuola elementare].

 

[Nota 2. Secondo il signor Mario Montessori, questo è un riferimento al metodo proposto nel periodo tra le due guerre mondiali da un ex studente Montessori].

 

[Nota 3. Ovide Decroly (1871-1932), dottore belga e riformatore pedagogista di fama internazionale, cfr. Alain Goussot, La scuola nella vita: il pensiero pedagogico di Ovide Decroly, Edizioni Erickson, 2005].

 

[Nota 4. Il nome di questo alunno sfortunatamente non può più essere rintracciato. Possiamo però ricordare in questa sede che Maria Montessori, in più dichiarazioni, si è distanziata considerevolmente dalle proposte dei suoi alunni Helen Parkhurst e Alexander Sutherland Neill].

 

[Nota 5. In linea generale, Maria Montessori permetteva il lavoro sul pavimento fino a un certo punto per alcune attività dei bambini più piccoli nella Casa dei Bambini].

 

[Nota 6. Oppure armadi a muro].

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